jueves, 27 de marzo de 2008

L'Osservatore Romano defiende la beatificación de monseñor Romero

Se trata de la primera vez que el diario de la Santa Sede dedica tanto espacio a monseñor Romero.


El diario del Vaticano, L'Osservatore Romano, dedica este jueves dos amplios artículos a la figura del monseñor salvadoreño Oscar Arnulfo Romero, asesinado en marzo de 1980 mientras oficiaba misa y defiende su beatificación como mártir de la Iglesia.

"Monseñor Romero, más allá de los que se dice, contó con la solidaridad de dos pontífices (Pablo VI y Juan Pablo II), como lo documenta el diario del mismo Romero. Eso constituye un punto firme" para el proceso de beatificación, escribió el vice director del diario, Carlo Di Cicco.

Se trata de la primera vez que el diario de la Santa Sede dedica tanto espacio a monseñor Romero, cuya figura de persona comprometida con la defensa de la justicia social, divide a la misma jerarquía de la Iglesia católica.

"Monseñor Romero fue víctima de la polarización política, que no dejaba espacio a la caridad y a que ejerciera como pastor. Fue contrario tanto a la violencia del gobierno militar como a la de la guerrilla y vivió como pastor el drama de su rebaño", escribe en el mismo diario monseñor Vincenzo Paglia, postulador de la causa de beatificación.

Monseñor Romero fue asesinado por un francotirador de los escuadrones de la muerte el 24 de marzo de 1980, mientras oficiaba una misa en la capilla del hospital para cancerosos Divina Providencia de San Salvador.

La causa para la beatificación del religioso centroamericano, abierta desde 1994, ha encontrado numerosos obstáculos en el Vaticano, por lo que algunos observadores llegaron a denunciar presiones políticas.

"Poco después de su muerte busqué reacciones en el Vaticano, me parecía monstruoso el asesinato de un obispo en el altar. La respuesta fue: no se sabe aún el color de la bala que mató al arzobispo", contó Di Cicco, que conoció a Romero dos meses antes de su asesinato.

En febrero pasado, el prefecto de la Congregación para la Causa de los Santos, el cardenal portugués José Saraiva Martins, negó que se quiera obstaculizar la beatificación de monseñor Romero y explicó que la demora se debe a que se debe determinar "con claridad" su martirio, es decir si murió por 'odio a la fe' o por razones políticas.

"El mismo Juan Pablo II ha reconocido públicamente su figura, cuando visitó su tumba en circunstancias dramáticas y también cuando lo citó entre los mártires del siglo XX y oró por el 'inolvidable monseñor Oscar Romero, asesinado en el altar'", subraya Di Cicco.

Por su parte Paglia recuerda que Romero "era la persona más respetada de su país y por pedir insistentemente que se aplicara la doctrina social de la Iglesia fue acusado de ser comunista, aunque siempre condenó el comunismo y nunca cambio de opinión sobre ello", escribió.

Centenares de salvadoreños participaron el lunes pasado en una procesión para conmemorar el 28 aniversario del asesinato del arzobispo Oscar Arnulfo Romero, a quien consideran "la voz de los sin voz".

La procesión se detuvo ante el monumento a las víctimas de la guerra civil salvadoreña (1980-1992).

A CONTINUACIÓN PUBLICO INTEGRO LOS REPORTAJES DEL L'Osservatore Romano, EN ITALIANO.




Oscar Romero
un vescovo fedele al suo popolo

di Vincenzo Paglia
Vescovo di Terni-Narni-Amelia


Era la sera del 24 marzo 1980, lunedì dell'ultima settimana di Quaresima. Monsignor Oscar Arnulfo Romero, da tre anni arcivescovo di San Salvador, stava celebrando la messa nella chiesetta dell'ospedale per malati oncologici presso cui viveva. Aveva appena finito l'omelia. Le ultime parole erano state eucaristiche: "Che questo corpo immolato e questo sangue sacrificato per gli uomini ci alimenti anche per dare il nostro corpo e il nostro sangue alla sofferenza e al dolore, come Cristo". Si udì uno sparo proveniente dall'ingresso della chiesa. Monsignor Romero cadde dinanzi all'altare. Aveva 63 anni. Veniva meno un pastore che tanto si era preoccupato per il suo popolo preso nella spirale della violenza. Il Paese scivolava verso una guerra civile che avrebbe provocato ottantamila morti su una popolazione di quattro milioni di persone.

Chi era monsignor Romero? Anzitutto un vescovo, secondo la migliore tradizione. Aveva studiato a Roma dal 1937 al 1943. Amava i Papi, soprattutto Pio XI, Paolo VI e Giovanni Paolo II che aveva conosciuto personalmente. Fedelissimo al magistero della Chiesa, non mancava di carismi: la parola, la predicazione, la pastoralità. Non era un intellettuale, un teologo, un organizzatore, un amministratore. Neppure un riformatore. E tanto meno un politico, come qualcuno ha voluto vederlo strumentalizzando il suo nome a propri fini.

Monsignor Romero era un vescovo e un pastore secondo la più classica nota tridentina. Non era un mistico, ma certamente un uomo di preghiera. Era timido di carattere, incerto nel decidere, ma traeva forza dalla preghiera cui si ispirava in ogni scelta. Fu la preghiera a dargli la forza di affrontare la morte che egli sapeva incombente e che lo sgomentava.

Scriveva pochi giorni prima di essere ucciso: "Temo i rischi a cui sono esposto. Mi costa accettare una morte violenta che in queste circostanze è molto possibile; anche il Signor Nunzio di Costarica mi ha avvisato di pericoli imminenti (...) Le circostanze sconosciute si vivranno con la grazia di Dio. Egli ha assistito i martiri e se è necessario lo sentirò molto vicino nell'offrirgli l'ultimo respiro. Ma più che il momento di morire vale il dargli tutta la vita e vivere per lui".
Pochi mesi prima, in visita a Roma, aveva annotato: "Questa mattina sono andato nuovamente alla basilica di San Pietro e, presso gli altari, che amo molto, di San Pietro e dei suoi successori attuali di questo secolo, ho chiesto insistentemente il dono della fedeltà alla mia fede cristiana e il coraggio, se fosse necessario, di morire come morirono tutti questi martiri o di vivere consacrando la mia vita come l'hanno consacrata questi moderni successori di Pietro".
Sul tema del martirio aveva riflettuto non solo per sé ma anche per i tanti sacerdoti, catechisti, fedeli periti nel vortice di violenza che aveva investito il suo Paese, solo perché parlavano di Vangelo, di pace, di giustizia.

Ai funerali di un suo prete aveva spiegato, portando l'esempio dell'essere madre, come il martirio fosse una testimonianza di fede che ogni cristiano comunque dava, se si conformava alla volontà di Dio: "Non tutti, dice il Concilio Vaticano II, avranno l'onore di dare fisicamente il loro sangue, di essere uccisi per la fede; però Dio chiede a tutti coloro che credono in lui uno spirito del martirio, cioè tutti dobbiamo essere disposti a morire per la nostra fede, anche se il Signore non ci concede questo onore (...) Perché dare la vita non significa solo essere uccisi; dare la vita, avere spirito di martirio è dare nel dovere, nel silenzio, nella preghiera, nel compimento onesto del dovere; è dare la vita a poco a poco, nel silenzio della vita quotidiana, come la dà la madre che senza timore, con la semplicità del martirio materno, dà alla luce, allatta, fa crescere e accudisce con affetto suo figlio".

Monsignor Romero fu vittima della polarizzazione politica, che non lasciava spazio alla sua carità e pastoralità. Avverso sia alla violenza espressa dal governo militare sia a quella espressa dall'opposizione guerrigliera, visse come pastore il dramma del suo gregge. Tentò di porre rimedio alla violenza condannandola da qualunque parte venisse. Fu sensibile alle esigenze di giustizia.

Invocò per tutti l'osservanza delle leggi e della costituzione. Non si compromise con nessun partito o fazione politica. Non travalicava il ruolo di vescovo ma le sue parole oneste erano pubblicamente considerate e rispettate. Era la personalità più autorevole del Paese. Chiedeva insistentemente di applicare la dottrina sociale della Chiesa e per questo venne accusato di essere comunista, ma lui aveva sempre ritenuto che il comunismo fosse da condannare, e non mutò mai parere.

Giovanni Paolo II nella celebrazione memoriale dei "nuovi martiri", al Colosseo, il 7 maggio 2000, così pregava: "Ricordati, padre dei poveri e degli emarginati, di quanti hanno testimoniato la verità e la carità del Vangelo fino al dono della loro vita: pastori zelanti, come l'indimenticabile arcivescovo Oscar Romero ucciso all'altare durante la celebrazione del sacrificio eucaristico...". E Benedetto XVI, nella visita ad limina ai vescovi salvadoregni, lo ha ricordato tra "i pastori pieni dell'amore di Dio". Monsignor Romero resta un esempio di pastore buono che offre la vita per il suo popolo.

La vicinanza di Paolo VI e papa Wojtyla

La notizia dell'assassinio dell'arcivescovo Oscar Arnulfo Romero, con le prime foto di lui rotolato nel sangue ai piedi dell'altare, fecero un'impressione enorme. Era il 25 marzo 1980 e a Roma non si era abituati a immaginare un vescovo ucciso mentre celebra la messa.


Gli avevano sparato la sera prima, ma il pericolo imminente di vita era nell'aria da alcuni mesi e si era materializzato già ai primi di marzo.
La pena per quella notizia fu grande: sentii un vuoto nella testa simile a quello provato in via Fani, qualche anno prima, quando vi giunsi per dovere di cronaca dopo il sequestro di Moro e lo sterminio della sua scorta e, prima ancora, davanti alla prima vittima del terrorismo che vidi nella mia professione di cronista, il giudice Occorsio. Sempre sangue e violenza, per estirpare ragioni di vita, di convivenza, progetti di pace.

Con l'arcivescovo Romero avevo avuto un incontro piuttosto breve meno di due mesi prima. Per ragioni professionali seguivo la sua azione pastorale, leggevo tutto quanto di lui mi capitava tra mano, ma parlargli fu un'altra cosa. Stava in prima fila nell'aula delle udienze generali, quel 30 gennaio del 1980. Con un collega vaticanista eravamo andati a sentire il polso della situazione della Chiesa in Salvador, incontrando il suo vescovo più importante che dava tanto fastidio ai militari.

Quella volta Romero era di passaggio a Roma, diretto a Lovanio. Sarebbe stata l'ultima. Solo due giorni e non sperava neppure di poter incontrare il Papa. Era lì per potergli almeno baciare la mano. Non poteva sapere quando parlava con noi che, invece, Giovanni Paolo II gli avrebbe chiesto di aspettare perché voleva incontrarlo al termine dell'udienza generale. Il Papa lo avrebbe ricevuto "con molto affetto" e abbracciato "molto fraternamente", assicurandogli la sua vicinanza e la sua preghiera per tutto il popolo del Salvador. Ma Romero ancora non poteva immaginare "la grande sorpresa".

Pensavo che mi sarei trovato di fronte una persona risoluta ed energica, un vero combattente. Invece era una persona fiduciosa, che mi colpì per la sua apparente fragilità, il suo sorriso impacciato. Un incontro imprevisto con una persona buona, che si diceva felice di stare in quella udienza nella casa del Papa perché ne traeva forza per la sua azione pastorale difficile. Con una certa qual ritrosia ad accentuare il pericolo che lo sovrastava. Sottolineava piuttosto le sofferenze del suo popolo e della sua Chiesa più che le minacce alla sua vita. Una semplicità disarmante e toni sommessi al punto da far sembrare eccessive le minacce contro la sua persona. Che invece erano gravi e determinate. Il giorno del suo assassinio pensai a quanta superficialità c'era stata nel nostro incontro nel valutare la gravità delle cose che Romero raccontava con tanta serenità.

La nostra conversazione venne bruscamente interrotta dal responsabile del cerimoniale quindici minuti prima che giungesse il Papa nell'aula. Una stretta di mano e via, non immaginando che si trattava di un addio.

A marzo, subito dopo le notizie della sua uccisione, mi adoperai per trovare reazioni in Vaticano, tanto mi pareva enorme l'assassinio sull'altare di un vescovo. Non si sapeva - mi si disse - di quale colore fosse la pallottola che aveva ammazzato l'arcivescovo.

Il mio dispiacere nel tempo è andato attenuandosi fino a scomparire scoprendo la vicinanza di Paolo VI e poi di Giovanni Paolo II a Romero. Al di là delle dicerie, la linea di solidarietà a Romero da parte dei due pontefici - documentata bene nel diario dello stesso Romero - è ormai un punto fermo. E ha avuto pubblico riscontro da Giovanni Paolo II non solo con la visita sulla sua tomba in circostanze drammatiche, ma anche con la collocazione del presule tra i nuovi martiri del Novecento in occasione della celebrazione memoriale del 7 maggio 2000 al Colosseo. In quell'occasione il Papa pregò per "l'indimenticabile arcivescovo Oscar Romero ucciso all'altare". Come tanti altri religiosi, suore, laici, "impegnati nel servizio della pace e della giustizia, testimoni della fraternità senza frontiere".

REUNIÓN DE LA COORDINACIÓN NACIONAL.

Cristhos Anesthis.

Que tal hermanos espero que todos hayamos vivido de la Semana Mayor en la que recordamos la Pasion, muerte y Resurreccion de nuestro Señor.


Pues el presente es para recordarles la reunion de la Coordinacion Nacional el proximo Sabado 29 de Marzo a las 4:00 p.m en la misteriosa catacumba o salón de los Coperadores Salesianos.

La agenda estará comprendida así:

• Asamblea Inicial Ricaldone 2008
• Asamblea de Identificacion San Jose
• Pentecostés 2008
• Ejercicios Espirituales Chaleco y Ciudadela
• Grupo COLATE
• Varios.

Como ven hermanos la agenda es algo exigente y es importante nuestra asistencia y puntualidad, esperamos su confirmacion.

Cualquier cosa avisarnos a Flor o a su servidor

Afectísimos en Don Bosco.

Flor de Maria González.
Mauricio Cañadas.

Don Klement es el nuevo Consejero para las Misiones

La asamblea capitular ha confiado a don Vaclav Klement, hasta ahora Consejero regional para Asia Este-Oceanía, el cargo de Consejero para las Misiones.


Nacido el 7 de octubre de 1958 en Brno, República Checa, don Klement vivió por 26 años en la Checoslovaquia comunista enfrentando las dificultades debidas a la imposibilidad de profesar con libertad la propia fe. Entró clandestinamente en la Congregación salesiana emitiendo los votos religiosos el 4 de septiembre de 1982, estudió oficialmente en el seminario diocesano ocultando su opción por la vida salesiana incluso a sus padres. Para dar plenitud a su opción vocacional misionera escapó del país luego del cuarto año de seminario y llega a Roma en el agosto de 1984 luego de atravesar con su hermano Michael los Alpes. Aquí, de 1984 a 1986 estudia en la Universidad Pontificia Salesiana concluyendo el bachillerato en teología e iniciando los estudios en Comunicación Social.


En 1985 viene incardinado en la inspectoría coreana y el 7 de diciembre recibe la ordenación diaconal y el 25 de mayo del año siguiente, en Roma, la sacerdotal. Luego de la ordenación se trasfiere a Corea del Sur donde aprende la lengua local y se trabajó con los alumnos internos del centro profesional de Seúl.

Mientras se desempeñaba como director de la casa de formación de Seúl-Dae Rim Dong, una obra para chicos en situación de riesgo, recibió en 1996 el cargo de inspector de Corea. En el 2002, durante el CG25, le viene confiada la región Asia Este-Oceanía, nueva región constituida durante dicho Capítulo para facilitar la acción de gobierno y de animación de la Congregación.


Al solicitar a don Klement su aceptación el Rector Mayor ha agradecido a don Francis Alencherry por su trabajo realizado durante el sexenio y la disponibilidad manifestada al asumir la animación de la región África-Madagascar luego del fallecimiento de Valentín De Pablo acaecida el 16 de abril de 2006.

Al aceptar don Klement ha hecho suyo el lema de un mártir chino: “Todo a Jesús, Jesús a todos”.


ESTAMPAS DEL CAPITULO GENERAL 26






JUANCHO, DE JERUSALEM.

Mi buen amigo Conde....!!!

Como te va, ...por si todavía no me reconoces, te escribe "Juancho" de Jerusalem.....ceo que hoy si....

EN LA FOTO DE CAMISA VERDE: JUANCHO, Y DE CAMISA AZUL PATY.


Sabes, hoy por la mañana, por eso de las cosas que Dios permite, encontré tu blog con la finalidad de celebrar los 25 años de Xsia Joven....idea que me pareció Brutal....


Te escribo para decirte, primero que me alegra mucho saber que continúas con Xsia Joven, segundo que me gustaría participar en dicha celebración....y por supuesto, con Paty (Antioquía), con quien ahora compartimos la bendición de ser padres de 2 hermosas bebés.

Alithos Anesthis...

QUE ALEGRIA SABER DE USTEDES, ME RECONFORTA QUE ESTEN BIEN Y QUE COMPARTAMOS LA BENDICIÓN DE SER PADRES, LOS ESPERAMOS EN LA PASTORAL FAMILIAR DE IGLESIA JOVEN, LAS REUNIONES LAS ESTAMOS REALIZANDO UNA VEZ POR MES.
SALUDA A PATY Y SIEMPRE ESTEMOS EN COMUNICACIÓN.

BENDICIONES.

Iglesia Joven y Monseñor Romero…

ESCRIBE: RODRIGO TORRES

A los 28 años de la muerte y resurrección martirial de Oscar Romero (1917 – 1980), su proceso de canonización, parece continuar por buen camino, y se siente que al menos su beatificación podría no estar lejos.
Recientemente, Mons. Rosa Chávez compartió además, que con las nuevas disposiciones de la santa sede, las beatificaciones pueden ser oficiadas en los países de origen, lo que haría suponer que la beatificación de Mons. Romero sería aquí en nuestro El Salvador.


El Papa Benedicto XVI, en el encuentro sostenido recientemente con episcopado salvadoreño en el Vaticano, se ha referido a Mons. Romero como un “pastor lleno del amor de Dios” que predico el evangelio, arraigando profundamente la fe en esta tierra (El Salvador), que ha dado abundantes frutos de vida cristiana y santidad.

Este reconocimiento de parte del Santo Padre a la labor pastoral de Romero es gratificante y nos llena de esperanza, de que el proceso esta vigente, y avanza aunque sea despacio, pero con el favor y voluntad de las autoridades eclesiasticas.


Cierto es también que antes de esa canonización oficial ha tenido lugar una canonización “popular”, como escribía don Pedro Casaldáliga: “En vida el pueblo te hizo santo".

Jon Sobrino S.J. afirma que “ese mismo pueblo lo quiere como a un santo, pero no sólo como a un santo "de altar", que intercede y concede favores, sino también como a un santo "de familia", a quien se le quiere entrañablemente...” y lo que es mas, es alguien sumamente querido no solo por el pueblo de El Salvador, sino por gente de muchas partes del mundo, catolicos o cristianos de otras denominaciones, reconocen a Romero como un Santo no solo de El Salvador, sino de todos los pueblos…


Esto sin duda es tambien un signo de esperanza, de que el espiritu santo continua obrando a traves del legado de amor que el testimonio de Romero significa para tantas personas.

EXPERIENCIA DE CALLE DEL NIVEL DE CONFIRMACIÓN DEL CHALECO EN EL PAISNAL, AÑO 2003


En nuestra Iglesia Joven, A Mons. Romero se le quiere en forma profunda y especial, y su testimonio, ha inspirado a cientos de jóvenes que han vivido la experiencia del grupo, al compromiso crisitiano y a la vivencia de una fe autentica y solidaria, consciente y liberadora.

No podemos dejar de mencionar que la figura de Mons. Romero inspira buena parte del Itinerario formativo de XJ, tan es así que en el II Concilio de Iglesia Joven (1990) donde se formaliza todo el conjunto del proyecto pastoral del grupo se le da al nivel de Confirmación en la Fe, el nombre de “Mons. Oscar Arnulfo Romero”. Ha sido así desde los inicios de este nivel, y se ha transmitido así a todas las sedes de XJ, inclusive las internacionales.


Es innegable que muchos jóvenes (incluido yo) por el hecho de haber sido infantes en 1980, o algunos que ni siquiera habían nacido, sabíamos poco o nada de Romero hasta antes de estar en Iglesia Joven, y por tanto la herencia de Romero se la debemos también a nuestro querido grupo.


Me gusta pensar así en forma utópica, que Los apóstoles, Don Bosco, Romero,y otros santos que conocimos en nuestra formación en el grupo, están presentes siempre en nuestras vidas, invitándonos al seguimiento decidido de Jesús, aun ahora siendo adultos (jjejeje…por no decir viejos) en nuestros ambientes actuales, y que somos por ello al mejor estilo Salesiano, “buenos cristianos y honrados ciudadanos”, somos por esa formación recibida mejores profesionales, mejores empleados o empresarios, mejores conyuges, mejores padres de familia, mejores ciudadanos y por que no, mejores lideres en este país que tanto necesita de gente que dirija bien las riendas del país, que mejor que personas guiadas por el credo del Evangelio y tocados por el testimonio de Mons. Romero en nuestro país.

Que bueno ha sido conocer la historia de nuestro país a través de Iglesia Joven, y con ello, comprometernos juntos en la transformación de nuestra sociedad.



Sueño también que algún día, que espero sea cercano, podamos asistir juntos como comunidad, todos los que llevamos en el corazón a Iglesia Joven, a ese acto, donde se proclame oficialmente la santidad de nuestro pastor, y junto con el, de forma simbólica, se devuelva la dignidad a los martires y a las victimas de nuestro país, así como ha sido con el resucitado, Jesús, que fue martir, pero a quien Dios le hizo justicia y lo resucitó de entre los muertos. Esta es nuestra fe y nuestra mayor esperanza.

Un saludo a todos y un gran Abrazo,

Cristhos Anesthis...


José Rodrigo Torres
Ex - Asesor del Nivel de Confirmación
Ricaldone (1997 – 2001)
Santa Cecilia (2002 – 2004)

Nuevo Consejero de Pastoral Juvenil

Caluroso y prolongado ha sido el aplauso que ha acompañado el agradecimiento de don Pascual Chávez a don Antonio Doménech por el servicio realizado en el dicasterio de Pastoral Juvenil incluso sin importar la enfermedad que le fue diagnosticada en el verano del 2005.


Por su parte, con un “acepto con humildad” don Fabio Attard ha aceptado el cargo como nuevo Consejero de Pastoral Juvenil, elegido luego del primer escrutinio, frase pronunciada como respuesta a la pregunta hecha por el Presidente de la asamblea capitular.


Don Attard, consejero de la delegación inspectorial de Malta, perteneciente a la inspectoría de Irlanda, nació el 23 de marzo de 1959 en Gozo y profesó como salesiano el 8 de septiembre de 1980 en Dublín donde hizo el noviciado. Habiendo recibido la ordenación diaconal en Roma el 11 de julio de 1986 en Roma, es ordenado sacerdote el 4 de julio del año siguiente.


Director en Sliema, Malta, del “Alphonsus”, primero, y luego del “St. Patrick”, don Attard es licenciado en Teología Moral por parte del ”Alfonsianum” de Roma.


Actualmente se desempeñaba como director del Instituto de Formación Pastoral de la arquidiócesis de Malta, fundado por el mismo en 2005.

El P. Filiberto González Plasencia es el nuevo Consejero para la Comunicación Social

La asamblea del Capítulo General 26 de los Salesianos ha elegido esta mañana, al primer escrutinio, al P. Filiberto González Plasencia, Inspector de México-Guadalajara (MEG), nuevo Consejero para la Comunicación Social.


“Si ésta es la voluntad de Dios y la petición de ustedes… quiero dar mi vida por los jóvenes, sobre todo por los más pobres, los serviré en la Comunicación Social. ¡Acepto!”, ha dicho el P. González Plasencia respondiendo a la pregunta ritual del presidente, P. Chávez y pidiendo el apoyo de la oración a los capitulares.


El P. Filiberto, mexicano, nació en Milpillas, población del municipio de Tepatitlán, en el estado de Jalisco el 22 de agosto de 1954. Hizo el noviciado en Chulavista y emitió la primera profesión en Guadalajara el 1º de octubre de 1974, y la perpetua el 28 de septiembre de 1980. Llegó a ser diacono el 13 de noviembre de 1981 y fue ordenado sacerdote el 11 de diciembre de 1982.


Son diversos los cargos que ha desempeñado , entre éstos, formador de los novicios de su inspectoría de 1985 a 1987 y, de 1987 a 1992, encargado de la pastoral en el Instituto Cristóbal Colón de la ciudad de Zamora. En el bienio 1990-1992 frecuentó, en la Universidad Pontificia Salesiana, el entonces Instituto para la Comunicación Social (ISCOS) licenciándose en Comunicación Social.


Al volver a su inspectoría fue formador en el postnoviciado de Huipulco hasta el 1993 cuando llegó a ser Delegato Inspectorial para la Pastoral Juvenil hasta el 2001. Sucesivamente, hasta el 2004, fue maestro de novicios, siendo después director del postnoviciado de México-Guadalajara en Huipulco, ciudad de México. En 2006 fue nombrado Inspector de los Salesianos de México-Guadalajara.


El P. Filiberto González Plasencia, sucede al P. Tarcisio Scaramussa nombrado por Benedicto XVI, el 23 de enero pasado, obispo auxiliar de San Paolo en Brasil. Para él, el Rector Mayor ha tenido palabras de aprecio y agradecimiento por el trabajo desarrollado en este sexenio encaminando la autonomía del Dicasterio para la Comunicación Social.